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UN PO' DI STORIA, (in italiano)

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masuda
icon1  view post Posted on 5/3/2006, 19:44




I primi abitanti del Giappone si stanziarono nel paese più di diecimila anni fa, quando il territorio faceva ancora parte del continente asiatico. Nel Paleolitico la popolazione viveva principalmente di caccia e di pesca, e del Neolitico sono stati ritrovati archi, frecce e contenitori per il cibo decorati con un motivo a corde (jomon) che ha dato il nome al periodo che va dall'8000 a.C. al 300 a.C. E’ di questa epoca lo sbarco nel Kyushu del nord di nuove popolazioni che portarono con sé la coltura del riso, alimento centrale nell'alimentazione e nella tradizione culinaria giapponese, anche se per molti secoli sarà ritenuto un bene di lusso dai contadini che pur coltivandolo, si accontentavano generalmente di sorgo e grano saraceno. Vennero intensificate le attività legate alla pesca e la società fu organizzata sul modello del villaggio agricolo. Nel tempo i diversi villaggi si unirono in piccoli regni che si trovarono ben presto in lotta tra loro per la Supremazia e il possesso dei terreni coltivabili. Gradualmente i piccoli stati si unificarono, e nel 300 d.c. comparve per la prima volta un unico Stato, che si estendeva da Kyushu all'Honshu meridionale. Alla sua guida vi erano gli imperatori Yamato, che intensificarono i contatti con la cultura cinese. Dalla Cina il Giappone apprese, oltre alla scrittura e al Confucianesimo, anche nuove tecniche di coltivazione del riso, che permisero un notevole sviluppo di questa risorsa. Tra il 538 e il 552 fu introdotto il Buddismo, che si diffuse principalmente tra gli esponenti dell'aristocrazia e tra i guerrieri in questo periodo che il consumo di carne, già molto limitato, conosce un'ulteriore restrizione, fino a venire proibito nell’ottavo secolo, sostituito dal pesce. L'influenza cinese sulla cucina giapponese si farà sentire per almeno tre secoli: dai vicini i giapponesi impareranno a preparare il tofu dalla soia e soprattutto a utilizzare le bacchette, oltre alla salsa di soia, importata nell’arcipelago tra l’ottavo e il nono secolo, che solo nel quindicesimo secolo i giapponesi impareranno a preparare autonomamente, ottenendo una salsa dal sapore molto diverso da quella cinese. Lo stesso tè, introdotto sempre dalla Cina intorno al nono secolo, non conobbe uni immediato successo e ricupererà un certo ruolo nel l'alimentazione giapponese solo all'inizio del dodicesime secolo, grazie alla tradizione del Buddisino zen.
Durante il periodo Heian (794‑1185) la cucina giapponese inizia a sviluppare un proprio stile autonomo: la capitale viene trasferita da Nara a Kyoto dove una classe aristocratica emergente coltiva le arti e la letteratura oltre all'arte culinaria: la cucina della capitale diventerà un esempio della raffinatezza a cui si può spingere la cucina locale. Proprio in questo periodo inizia a comparire sulle tavole dei nobili giapponesi quello che potremmo definire l'antesignano del sushi, il narezushi, ossia una preparazione in cui il pesce tenuto sotto il riso dai 2 ai 12 mesi, grazie all'acido lattico prodotto dal cereale, si conserva con il tipico, sapore agrodolce. Intorno al quindicesimo secolo si inizia a mangiare sia il riso che il pesce, ma bisognerà aspettare l'inizio dei diciannovesimo secolo prima di ottenere il sushi cosi come le conosciamo ora.
Gli scambi commerciali del paese con l'estero, a partire dal quattordicesimo fino al sedicesimo secolo, avevano nel frattempo favorito l'introduzione di nuovi alimenti e di nuove tecniche di cottura: il kaboucha, il cetriolo verde, era stato introdotto dalla Cambogia per opera dei portoghesi nel sedicesimo secolo. Un secolo più tardi il loro esempio venne seguito dagli olandesi che introdussero il mais, le nostre comuni patate e quelle dolci. Va detto che i giapponesi non rimasero indifferenti alle tecniche di cottura occidentali, tanto che nel paese conobbe un certo successo la namban ryori, la cucina dei barbari dei Sud; mentre furono i portoghesi a introdurre nel paese l'arte della frittura o tempura. Gli olandesi a loro volta apprezzarono la salsa di soia e appresero a utilizzarla in cucina.
Dopo il periodo Edo (1603‑1857) in cui il Giappone conobbe tre lunghi secoli di isolazionismo, finalmente il periodo Meiji (1868‑1912) segna il ritorno delle relazioni con gli altri paesi e alla fine del diciannovesimo secolo il consumo di carne che era stato fino ad allora bandito conobbe una forte crescita e così pure quello di prodotti stranieri: pane, curry, gelato e caffè. Nel 1885 la capitale si trasferisce a Kamakura, dove la presenza dei samurai e dei monaci buddisti zen aveva influenzato uno stile di vita più austero e una cucina di tipo vegetariano, più sana e più semplice. In particolare l'alimentazione vegetariana, lo shoji‑n ryori, propone delle piccole porzioni molto varie, a partire dai cinque colori degli alimenti (verde, rosso, giallo, bianco e porpora scuro) e dai sei sapori (amaro, acido, dolce, piccante salato e delicato).
Subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i puristi gridarono al declino della cucina giapponese tradizionale: in realtà la comparsa di fornelli elettrici, delle zuppe istantanee, delle confezioni di brodo liofilizzato e dei famigerati surgelati, non hanno minimamente intaccato il valore della tradizione culinaria giapponese. Va piuttosto ricordato che da sempre questo popolo cerca di adattare piatti e preparazioni straniere al proprio gusto: gelato al tè verde, patate fritte profumate alle alghe, spaghetti e pesce crudo sono solo alcune delle nuove creazioni culinarie del paese del Sol Levante, in cui tradizione e modernita convivono felicemente.
 
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